IL CAPORALATO DIGITALE
L'articolo 603 del codice penale punisce con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da Euro 500 a Euro 1.000 chiunque recluti lavoratori allo scopo di sfruttarli approfittando del loro stato di bisogno. Questo fenomeno, conosciuto da tutti come caporalato, è tradizionalmente presente nei settori dell'agricoltura e dell'edilizia. Negli ultimi tempi lo sfruttamento delle persone avviene anche attraverso i canali online e ha come vittime i rider che ogni giorno consegnano pasti a domicilio.
Il caporalato digitale può essere paragonato a una agenzia interinale virtuale che opera illegalmente sfruttando le falle organizzative presenti nelle piattaforme di food delivery. I criminali attivano dei profili sul sito delle società e li rivendono illecitamente a dei lavoratori, spesso dei migranti irregolari, che non hanno un altro modo di lavorare in Italia. Tutto questo è possibile a causa dell'assenza di controlli effettivi sui profili dei rider che in molti casi vengono autorizzati sulla base di semplici autocertificazioni.
I caporali vendono un pacchetto che solitamente prevede un account per accedere alla piattaforma, una bicicletta elettrica e, in alcuni casi, un posto letto in abitazioni sovraffollate. Il prezzo iniziale di questo kit dello sfruttamento può arrivare fino a 1.500 Euro. Inoltre, il rider è spesso tenuto a corrispondere al criminale anche una quota dei compensi percepiti durante lo svolgimento dell'attività lavorativa.
Un sistema basato sul controllo economico dei più deboli che, nei casi più gravi, sfocia in violenze e intimidazioni contro i rider che provano ad alzare la voce. Sia i Carabinieri per la Tutela del Lavoro che alcune organizzazioni sindacali si stanno muovendo rispettivamente per punire i caporali e proteggere i lavoratori più esposti allo sfruttamento.
In ogni caso le aziende del food delivery dovrebbero prevedere delle procedure che siano in grado di prevenire il compimento di reati da parte di chi si registra come rider. Uno strumento come il riconoscimento facciale per accedere all'applicazione, ad esempio, richiede un'attenta analisi in merito al trattamento dei dati personali ma, allo stesso tempo, potrebbe rappresentare un mezzo per scoraggiare il fenomeno. Chissà se questa volta il Garante della privacy sarà d'accordo con me.
Avv. Alessio Amorelli